Prima di effettuare compensazioni in F24 ci si deve ricordare di verificare l’ammontare complessivo di quelle già effettuate, in modo da non superare il tetto dei 700mila euro annui. Bisogna anche ricordarsi che le compensazioni orizzontali di crediti tributari che eccedono la soglia dei 15mila euro, anche diversi da quelli Iva, necessitano del visto di conformità. In ogni caso, prima di procedere a ulteriori compensazioni va verificata l’eventuale presenza di ruoli scaduti superiori a 1.500 euro. L’articolo 9 comma 2 del Dl 35/2013 ha innalzato il tetto massimo delle compensazioni annue di crediti d’imposta e contributi da 516mila a 700mila euro a partire dal 2014. Tale limite sale a quota un milione di euro per i subappaltatori edili, qualora il volume d’affari dell’anno precedente sia costituito per almeno l’80% da prestazioni di subappalto (articolo 35 comma 6-ter, del Dl 223/2006). Se si intende compensare il secondo acconto va pertanto verificato di non aver già superato le soglie indicate. Non devono, comunque, essere conteggiate eventuali compensazioni verticali, anche se esposte in F24. Si deve, poi, verificare se sono state effettuate compensazioni (sempre orizzontali) eccedenti la soglia dei 15mila euro. In questi casi, infatti, è necessaria l’apposizione del visto di conformità sul modello dichiarativo da cui scaturiscono i crediti. Questo vale tanto per l’Iva quanto per gli altri crediti erariali. Per converso, le compensazioni orizzontali oltre soglia di imposte dirette, Irap, sostitutive e ritenute non “soffrono” la preventiva presentazione del dichiarativo (anche se in questo caso dovrebbero essere già stati inviati) né l’utilizzo obbligatorio dei canali Fisconline e/o Entratel per l’invio della delega di pagamento. Queste compensazioni, come confermato dall’agenzia delle Entrate a Telefisco 2014 (le risposte sono state trasfuse nella circolare 10/E/2014):
GLI ESEMPI: IL RUOLO SCADUTO 01 L'ACCONTO IRAP Beta Srl ha un credito Ires 2013 residuo di 10mila euro e applicando il metodo storico non è obbligata a versare il secondo acconto Irap mentre deve versare un secondo acconto Ires per 3mila euro A inizio ottobre è scaduto per dimenticanza un ruolo emesso in relazione a Ires pari a8mila euro Beta decide di compensare il credito Ires con il debito Irap 02 IL DEBITO ISCRITTO A RUOLO Il debito iscritto a ruolo è superiore a 1.500 euro e quindi blocca l'utilizzo del credito Beta Srl decide quindi di utilizzare il credito per pagare il ruolo scaduto, in modo da sbloccare il credito residuo e poterlo utilizzare in sede di versamento del secondo acconto Solo una volta sanato il ruolo la Srl potrà utilizzare il residuo credito Ires residuo per 2mila euro (10mila – 8mila) in abbattimento parziale del secondo acconto Irap LA RIDUZIONE DI UTILE 01 IL RICALCOLO Il modello Unico di Alfa Srl presentava un’imposta pari a 100mila euro. La società ha versato nei termini il primo acconto per 40.600 euro (100mila x 101,5% x 40%) La società stima una riduzione di utili e vuole ricalcolare il secondo acconto 02 | L’IMPATTO DEL PREVISIONALE Alfa versa con il metodo previsionale: i l secondo acconto Ires viene quindi rideterminato in9.400 euro, dato dall'imposta stimata complessiva (50mila) al netto di quanto versato con il primo acconto (40.600) Il codice tributo da utilizzare è il «2002»
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L'appuntamento del 1° dicembre (il 30 novembre è domenica) per la dichiarazione Imu degli enti non profit riguarda solo gli immobili che hanno i requisiti per l'esenzione, mentre gli enti del terzo settore che hanno immobili imponibili, ad esempio perché dati in locazione, avrebbero dovuto seguire le regole ordinarie: l'invio della dichiarazione per gli immobili esenti è solo telematico, ma il ministero non ha predisposto un software per la compilazione, che dunque va cercato sul mercato (o, più frequentemente, rivolgendosi ai professionisti).
Le indicazioni sono contenute in una serie di risposte che il dipartimento Finanze ha pubblicato ieri sotto la forma ormai abituale delle «Faq», cioè dei quesiti ricevuti e ritenuti più frequenti fra i contribuenti. E anche da qui arriva la conferma che le regole per il terzo settore hanno rapidamente scalato le posizioni di testa nella corsa alla complicazione intorno all'Imu e alla fiscalità immobiliare in genere. La doppia dichiarazione emerge dalla risposta ministeriale al caso di un ente ecclesiastico che in un Comune possiede un immobile imponibile (perché locato) e uno parzialmente esente, e in un altro Comune ha più immobili imponibili. Il dipartimento Finanze spiega che in questo caso «occorre effettuare più dichiarazioni in ciascun Comune», specificando però che solo nel primo Comune va presentata sia la dichiarazione telematica per gli immobili parzialmente esenti sia quella cartacea per gli immobili imponibili, mentre nel secondo Comune la dichiarazione telematica non c'è perché non ci sono esenzioni. In questo modo, il dipartimento specifica meglio un problema già emerso con le istruzioni al modello di dichiarazione diffuse a inizio luglio, dove era detto che l'adempimento telematico riguardava solo gli immobili dotati dei requisiti per l'esenzione. Queste istruzioni, però andrebbero coordinate con quelle diffuse dallo stesso ministero dell'Economia lo scorso anno, quando la risoluzione 1/DF/2013, sottolineando «l'esigenza di semplificare gli adempimenti dei contribuenti e razionalizzare gli strumenti a disposizione degli enti locali impositori», aveva stabilito che «la dichiarazione Imu degli enti non commerciali deve essere unica» e quindi aveva esentato il non profit dalla scadenza ordinaria del 4 febbraio 2013 invitandoli ad «attendere la successiva emanazione del decreto di approvazione dei modelli»; cioè proprio il decreto in cui si è deciso di riservare la dichiarazione telematica agli immobili esenti. Il problema non è da poco, anche perché l'obbligo di dichiarazione colpisce ad amplissimo raggio. A confermarlo arriva un'altra risposta pubblicata ieri, nella quale il dipartimento Finanze specifica che l'adempimento telematico va effettuato «anche nel caso in cui non sono intervenute variazioni» nel corso del 2012/2013, cioè dei due anni oggetto della dichiarazione. In altre parole, anche un ente che possiede un immobile da molti anni e non ha incontrato alcuna novità successivamente deve presentare la dichiarazione: questo, infatti, è il primo appuntamento alla luce delle nuove regole introdotte nel 2012 quando per contrastare una procedura d'infrazione Ue si è deciso di vincolare l'esenzione Imu a una serie di requisiti relativi allo statuto dell'ente e alle modalità di gestione delle attività (tariffe in primis). Una volta girate ai Comuni, infatti, le dichiarazioni serviranno ai sindaci per verificare che chi non rispetta i parametri per l'esenzione abbia effettivamente pagato l'Imu. Complice l'intreccio delle regole e le continue proroghe che hanno spostato la prima scadenza al 1° dicembre, il tasso di adesione agli obblighi di pagamento scritti nel 2012 non sembra stato elevato, e in queste condizioni l'esito più probabile delle dichiarazioni e dei successivi accertamenti sarà un fitto contenzioso fra Comuni ed enti non profit. Con l'espressione transfer pricing si individua un fenomeno complesso, di cui è difficile fornire una definizione istituzionale poiché non nasce direttamente in ambito giuridico-fiscale, ma deriva dall'analisi delle relazioni economiche intercorrenti tra imprese residenti in Stati diversi le quali fanno parte dello stesso gruppo(1).
In particolare, si tratta di verificare se le transazioni commerciali intercompany vengano effettuate rispettando il principio di libera concorrenza (arm's length principle), in modo tale che sussista corrispondenza tra il prezzo stabilito nelle operazioni commerciali tra imprese associate e quello che sarebbe pattuito tra imprese indipendenti, in condizioni similari, sul libero mercato(2). Poiché la giustificazione sulla quale si basa la disciplina in esame è quella di evitare che mediante l'alterazione del valore al quale avvengono le transazioni intercompany si possa realizzare uno spostamento di materia imponibile da Stati a elevata fiscalità verso territori caratterizzati da una minore pressione fiscale(3), al fine di preservare la propria potestà impositiva i singoli Stati hanno adottato una normativa specifica sul transfer pricing, la quale recepisce il principio di valutazione a valore normale delle transazioni infragruppo contenuto nel modello di convenzione Ocse(4). Per quanto concerne l'Italia, la disciplina dei prezzi di trasferimento è contenuta nel combinato disposto degli articoli 110, settimo comma(5), e 9, terzo comma(6), del Tuir, nei quali viene previsto che il prezzo cui avvengono le transazioni commerciali tra imprese residenti in Stati diversi, legate da rapporti di controllo e/o collegamento deve essere valutato a valore normale. In virtù di tali disposizioni è possibile individuare i presupposti soggettivi e oggettivi in presenza dei quali si può procedere a una rettifica dei prezzi di trasferimento intercompany, allo scopo di rideterminare il reddito imponibile dell'impresa fiscalmente residente in Italia dopo aver ricostruito il "valore normale" delle transazioni infragruppo(7). Quanto al requisito soggettivo deve trattarsi di scambi - di beni o servizi - tra imprese fiscalmente residenti in Italia(8) e società fiscalmente residenti all'estero(9), legate da rapporti di controllo diretto o indiretto(10). Che il transfer pricing rimanga uno dei settori più caldi in tema di accertamento è evidente dal numero crescente di contenziosi e dall'attenzione a esso riservata all'amministrazione finanziaria e da Assonime, che ha appena pubblicato un report indicando propositivamente otto linee di azione in materia (si veda «Il Sole 24 Ore» di giovedì). Negli indirizzi operativi per il 2014 (circolare n. 25/E del 6 agosto 2014), l'agenzia delle Entrate ha ribadito la necessità di un'attenzione particolare in caso di accertamenti basati sul transfer pricing. E non a caso la stessa Assonime torna sull'esigenza che le verifiche siano condotte da team specializzati. La delicatezza della materia dipende dal fatto che la determinazione del corretto prezzo di trasferimento passa attraverso un processo valutativo che deve tenere in considerazione le caratteristiche delle transazioni poste in essere e dei mercati di riferimento, le strategie dell'impresa e del gruppo, i beni coinvolti, le funzioni svolte e i rischi assunti. Sarà interesse del contribuente dettagliare tali aspetti nel modo più chiaro possibile, per fornire all'amministrazione quel quadro informativo necessario a riscontrare la congruità dei prezzi di trasferimento adottati. Del resto anche di recente la giurisprudenza ha precisato che in materia di transfer pricing l'onere della prova va ripartito tra fisco e contribuente in applicazione del principio, figlio del diritto processuale civile, della vicinanza (commissione tributaria regionale Lombardia, n. 83/13/13 e n. 84/13/13). Il che significa che il fisco resta l'attore sostanziale gravato in primis dell'onere di provare di avere accuratamente selezionato le operazioni confrontate e di aver svolto analisi funzionali e di rischio, ma il contribuente, dato il suo “vantaggio informativo”, deve essere collaborativo. In realtà a fronte della documentazione esibita dal contribuente, l'ufficio, nell'attività di verifica, propone spesso una nuova analisi di transfer pricing basata su presupposti diversi da quelli utilizzati dal contribuente, modificando ad esempio la scelta dei comparables (mediante il riferimento a diversi mercati o diversi criteri di selezione), o dell'indicatore di profitto da comparare o ancora facendo riferimento a diversi intervalli temporali. Ed è proprio su tali analisi, in questa “scienza non esatta”, che prolifica il contenzioso. Ad esempio, le linee guida Ocse prevedono la necessità di effettuare l'analisi su un intervallo temporale comprendente più annualità, tipicamente 3, al fine di limitare l'impatto di eventuali circostanze eccezionali accadute in un anno. Una recente decisione della Ctp di Milano in tema (n. 7996/40/14) ha considerato non corretto l'operato dell'ufficio che, senza motivare la propria scelta, assume come periodo di riferimento dal quale ricavare i dati dei comparables un esercizio diverso da quello accertato. E ancora, l'Ocse pur ritenendo preferibile la scelta di comparables che operino sullo stesso mercato del contribuente, afferma che, nel caso in cui i Paesi dove opera il gruppo siano omogenei, si può condurre un'analisi multi-country. Il fisco (e su tale aspetto la giurisprudenza spesso concorda) propone invece sovente la scelta di comparables italiani, disconoscendo la validità di campioni paneuropei. Anche il posizionamento all'interno dell'intervallo interquartile è dibattuto. Secondo le linee guida diffuse dall'Ocse, la mediana dovrebbe essere il valore più rappresentativo. Valori nella parte alta o bassa dell'intervallo interquartile possono essere considerati, ma solo quando si dimostri una non completa omogeneità nel campione. Concordare con l'amministrazione una politica di prezzi di trasferimento ex ante, mediante il ricorso alla procedura di ruling internazionale, oggi possibili anche su base bilaterale, potrebbe offrire il vantaggio di evitare verifiche e sanzioni. Inoltre, come chiarito anche dalla circolare 25/E/2014, nei confronti di chi accede alla procedura, sarà possibile avviare verifiche solo con riferimento a questioni diverse da quelle oggetto del ruling, al fine di evitare che il medesimo modello di business sia oggetto di un una diversa interpretazione. Così, un ruling avente a oggetto i prezzi di trasferimento dovrebbe inibire ulteriori controlli, come quelli in tema di stabile organizzazione occulta o di altri aspetti relativi al medesimo business model.
Si muove su strade diverse il «Fisco che cambia verso», quello che si prepara a mandare in pensione gli scontrini. Attenzione, non è un percorso facile: nel 1996, l’allora ministro delle Finanze Vincenzo Visco firmava un protocollo con artigiani e commercianti che prometteva di archiviare per sempre le certificazioni cartacee. Diciotto anni dopo, i foglietti che spuntano dal portafoglio sono ancora qui. Nel frattempo, l’evasione non è diminuita.
Ecco perché la direttrice dell’Agenzia delle Entrate Rossella Orlandi spinge forte sull’acceleratore. La parola d’ordine è «tracciabilità totale», concetto affascinante ma anche complicatissimo da raggiungere in un Paese in cui la moneta elettronica (eufemismo) fatica a decollare: con una media di 31 operazioni all’anno per abitante l’Italia guarda da lontano la Spagna (52), la Francia (130) e soprattutto i Paesi del Nord, che superano quota 220. Gli ostacoli Per chi tenta di vivere una «giornata a contante zero» il primo ostacolo si presenta un’ora dopo il risveglio. Archiviata la lettura dei quotidiani - due ditate sul tablet, e il giornale è scaricato, pagato e fatturato - al caffè sotto casa le cose si ingarbugliano parecchio. Perché pure incrociando un barista «digitale» dotato di Pos, in questo momento, le commissioni da pagare per il commerciante restano piuttosto alte, e il contante continua ad essere il sistema di pagamento preferito degli esercenti. Il 92% delle transazioni, calcola l’Abi, avviene in «forma cartacea». Per informazioni rivolgersi ai benzinai, che per mercoledì 12 novembre hanno indetto un «no card day» per protestare contro l’introduzione dell’obbligo di accettare pagamenti con moneta elettronica, introdotto da un decreto del Ministero dello Sviluppo Economico a partire dal 30 giugno scorso. «È uno dei temi su cui bisogna intervenire», ammettono dal Fisco, dove i tecnici confidano nello sviluppo dei pagamenti via smartphone, pronti a decollare dopo l’ingresso nel settore dei colossi del web, da Apple in giù. I vantaggi per gli esercenti Il sistema su cui si sta lavorando alle Entrate punta a trasferire negli esercizi l’infrastruttura già sperimentata nella Pubblica Amministrazione. Dunque trasmissione costante dei dati dal negozio all’Erario, sfruttando il web e dribblando i sostituti d’imposta. I costi della riforma, va da sè, dovrebbero essere coperti dallo Stato, che in quest’operazione ha tutto da guadagnarci. In realtà - è il ragionamento della Orlandi - potrebbero esserci meno spese anche per i commercianti, che ormai hanno «metabolizzato» la filosofia dello scontrino: un registratore di cassa si paga almeno quattro-cinquecento euro, lo studio del commercialista, tappa obbligatoria a fine anno, non fa di certo volontariato. Gli incentivi al cliente Il punto è che per dare una scossa andrebbe incentivato anche il cliente. Se la commessa della boutique propone uno sconto robusto in cambio del pagamento in contanti, quali vantaggi - archiviato il senso civico - ci sono per chi rifiuta? A dare il buon esempio dovrebbe essere lo Stato, spiega Geronimo Emili, presidente dell’associazione «Cashless Way». «Siamo davanti a un paradosso: in negozio puoi scegliere di pagare con la carta, o almeno litigare per farlo. Versare le tasse universitarie in questo modo, invece, è ancora impossibile». Gli esempi virtuosi, tra le grandi aziende, non mancano. Enel, per le bollette, accetta pagamenti via Paypal, i sistemi di Trenitalia sono digitalizzati. «L’Italia è il Paese con la più alta penetrazione di tessere pre-pagate - dice Emili -. È il segno che le banche sono state brave a commercializzarle. Adesso qualcuno può insegnarci ad usarle?». Il nodo privacy Il paradosso della vita senza scontrini, temono gli ultrà della riservatezza, è una rinuncia quasi totale alla privacy: se i dati corrono sul web, come evitare che non vengano usati a scopi commerciali? In realtà il rischio già esiste, quando si parla di e-commerce. Il Garante della Privacy, dunque, ha «blindato» il settore: dallo scorso giugno le informazioni non possono essere utilizzate per altre finalità, come l’invio di pubblicità o analisi delle abitudini, senza lo specifico consenso degli utenti, e devono essere adeguatamente protetti dai rischi di uso fraudolento. (da La Stampa) Arriva la dichiarazione fiscale precompilata per 20 milioni di contribuenti. Il consiglio dei ministri ha approvato in via definitiva la norma, insieme ad un nutrito pacchetto di semplificazioni fiscali che vanno dalle successioni ai rimborsi Iva. Il nuovo 730 precompilato guarda a lavoratori dipendenti e pensionati. Scatta dal 2015 sui redditi 2014, tanto che i tempi di attuazione per questa «operazione» sono davvero limitati e costringeranno l’Agenzia delle Entrate a un tour de force. I moduli compilati con i redditi e le «poste» di reddito principali dovranno infatti essere resi disponibili «on line» entro il 15 aprile.
Il decreto approvato contiene comunque anche molte altre misure, che riguardano non solo i cittadini ma anche le imprese. Ecco le principali. - IL 730 PRECOMPILATO Si parte subito e si punta a «sperimentare» il sistema già con la prossima `stagione´ delle dichiarazioni. I dati inseriti, all’inizio, saranno essenziali. Vi saranno i dati già contenuti nell’anagrafe tributaria (quelli anagrafici, i parenti a carico, gli immobili e i terreni posseduti) ma anche quelli trasmessi da parte di soggetti terzi (ad esempio banche, assicurazioni ed enti previdenziali) e quelli contenuti nelle certificazioni dei sostituti d’imposta: questi dovranno comunicare i redditi da lavoro e le trattenute e se lo faranno in ritardo saranno sanzionati 100 euro per ciascun lavoratore. Dal 2016 con la tessera sanitaria saranno inseriti anche quelli relativi a queste spese. La dichiarazione viene messa a disposizione on line entro il 15 aprile e il cittadino potrà accettarla così com’è oppure modificarla, rettificando i dati e aggiungendone altri. Può farlo da solo o con l’assistenza dei Caf e di professionisti abilitati: la scadenza di presentazione è il 7 luglio. I controlli cambieranno a seconda se la `precompilata´ è stata accettata senza modifiche o no. - DICHIARAZIONE DI SUCCESSIONE Non è più necessario presentare la dichiarazione quando l’eredità, devoluta al coniuge e ai parenti in linea retta ha un valore non superiore a 100.000 euro e non comprende immobili o diritti reali immobiliari. - BONUS ENERGIA Stop alla comunicazione alle Entrate per i lavori ammessi alla detrazione che proseguono per più periodi di imposta. - VITTO E ALLOGGIO PROFESSIONISTI Queste spese non costituiscono compensi in natura per chi ne usufruisce. Quindi, il professionista non dovrà più «riaddebitare» in fattura tali spese al committente e non dovrà più operare la deduzione dell’ammontare quale componente di costo deducibile. - RIMBORSI IVA Azzerati gli adempimenti per i rimborsi fino a 15.000 euro (ora la soglia è di 5.000 euro) e non vengono posti limiti all’ammontare dei rimborsi in favore dei contribuenti «non a rischio» per i quali non è più necessaria la prestazione della garanzia a favore dello Stato. - FISCO INTERNAZIONALE Vengono semplificate le dichiarazioni delle società o enti che non hanno la sede legale o amministrativa in Italia: semplificare i modelli dichiarativi non richiedendo dati già in possesso dell’Amministrazione finanziaria. Sale anche a 10.000 euro il limite per comunicare, solo annualmente, le operazioni con paesi «black list» (paradisi fiscali). - FORFAIT PUBBLICITÀ È prevista una detrazione forfetaria del 50% per prestazioni sia per le prestazioni di pubblicità che di sponsorizzazione per associazioni senza scopo di lucro, quelle sportive dilettantistiche, le pro-loco. - SPESA RAPPRESENTANZA Si potrà detrarre l’Iva sulle spese di rappresentanza sostenute per l’acquisto di beni che hanno un costo «unitario» fino a 50 euro (ora era fino a 25,82 euro) uniformando la norma a quella delle imposte sui redditi. |
Autoreavv. Gennaro di Maggio Attenzione:
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