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transfer pricing: cenni normativi e novita'

19/11/2014

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Con l'espressione transfer pricing si individua un fenomeno complesso, di cui è difficile fornire una definizione istituzionale poiché non nasce direttamente in ambito giuridico-fiscale, ma deriva dall'analisi delle relazioni economiche intercorrenti tra imprese residenti in Stati diversi le quali fanno parte dello stesso gruppo(1).
In particolare, si tratta di verificare se le transazioni commerciali intercompany vengano effettuate rispettando il principio di libera concorrenza (arm's length principle), in modo tale che sussista corrispondenza tra il prezzo stabilito nelle operazioni commerciali tra imprese associate e quello che sarebbe pattuito tra imprese indipendenti, in condizioni similari, sul libero mercato(2).
Poiché la giustificazione sulla quale si basa la disciplina in esame è quella di evitare che mediante l'alterazione del valore al quale avvengono le transazioni intercompany si possa realizzare uno spostamento di materia imponibile da Stati a elevata fiscalità verso territori caratterizzati da una minore pressione fiscale(3), al fine di preservare la propria potestà impositiva i singoli Stati hanno adottato una normativa specifica sul transfer pricing, la quale recepisce il principio di valutazione a valore normale delle transazioni infragruppo contenuto nel modello di convenzione Ocse(4).
Per quanto concerne l'Italia, la disciplina dei prezzi di trasferimento è contenuta nel combinato disposto degli articoli 110, settimo comma(5), e 9, terzo comma(6), del Tuir, nei quali viene previsto che il prezzo cui avvengono le transazioni commerciali tra imprese residenti in Stati diversi, legate da rapporti di controllo e/o collegamento deve essere valutato a valore normale.
In virtù di tali disposizioni è possibile individuare i presupposti soggettivi e oggettivi in presenza dei quali si può procedere a una rettifica dei prezzi di trasferimento intercompany, allo scopo di rideterminare il reddito imponibile dell'impresa fiscalmente residente in Italia dopo aver ricostruito il "valore normale" delle transazioni infragruppo(7).
Quanto al requisito soggettivo deve trattarsi di scambi - di beni o servizi - tra imprese fiscalmente residenti in Italia(8) e società fiscalmente residenti all'estero(9), legate da rapporti di controllo diretto o indiretto(10).
Che il transfer pricing rimanga uno dei settori più caldi in tema di accertamento è evidente dal numero crescente di contenziosi e dall'attenzione a esso riservata all'amministrazione finanziaria e da Assonime, che ha appena pubblicato un report indicando propositivamente otto linee di azione in materia (si veda «Il Sole 24 Ore» di giovedì). 
Negli indirizzi operativi per il 2014 (circolare n. 25/E del 6 agosto 2014), l'agenzia delle Entrate ha ribadito la necessità di un'attenzione particolare in caso di accertamenti basati sul transfer pricing. E non a caso la stessa Assonime torna sull'esigenza che le verifiche siano condotte da team specializzati.
La delicatezza della materia dipende dal fatto che la determinazione del corretto prezzo di trasferimento passa attraverso un processo valutativo che deve tenere in considerazione le caratteristiche delle transazioni poste in essere e dei mercati di riferimento, le strategie dell'impresa e del gruppo, i beni coinvolti, le funzioni svolte e i rischi assunti. Sarà interesse del contribuente dettagliare tali aspetti nel modo più chiaro possibile, per fornire all'amministrazione quel quadro informativo necessario a riscontrare la congruità dei prezzi di trasferimento adottati.
Del resto anche di recente la giurisprudenza ha precisato che in materia di transfer pricing l'onere della prova va ripartito tra fisco e contribuente in applicazione del principio, figlio del diritto processuale civile, della vicinanza (commissione tributaria regionale Lombardia, n. 83/13/13 e n. 84/13/13). Il che significa che il fisco resta l'attore sostanziale gravato in primis dell'onere di provare di avere accuratamente selezionato le operazioni confrontate e di aver svolto analisi funzionali e di rischio, ma il contribuente, dato il suo “vantaggio informativo”, deve essere collaborativo.
In realtà a fronte della documentazione esibita dal contribuente, l'ufficio, nell'attività di verifica, propone spesso una nuova analisi di transfer pricing basata su presupposti diversi da quelli utilizzati dal contribuente, modificando ad esempio la scelta dei comparables (mediante il riferimento a diversi mercati o diversi criteri di selezione), o dell'indicatore di profitto da comparare o ancora facendo riferimento a diversi intervalli temporali. Ed è proprio su tali analisi, in questa “scienza non esatta”, che prolifica il contenzioso.
Ad esempio, le linee guida Ocse prevedono la necessità di effettuare l'analisi su un intervallo temporale comprendente più annualità, tipicamente 3, al fine di limitare l'impatto di eventuali circostanze eccezionali accadute in un anno. Una recente decisione della Ctp di Milano in tema (n. 7996/40/14) ha considerato non corretto l'operato dell'ufficio che, senza motivare la propria scelta, assume come periodo di riferimento dal quale ricavare i dati dei comparables un esercizio diverso da quello accertato.
E ancora, l'Ocse pur ritenendo preferibile la scelta di comparables che operino sullo stesso mercato del contribuente, afferma che, nel caso in cui i Paesi dove opera il gruppo siano omogenei, si può condurre un'analisi multi-country. 
Il fisco (e su tale aspetto la giurisprudenza spesso concorda) propone invece sovente la scelta di comparables italiani, disconoscendo la validità di campioni paneuropei. Anche il posizionamento all'interno dell'intervallo interquartile è dibattuto. Secondo le linee guida diffuse dall'Ocse, la mediana dovrebbe essere il valore più rappresentativo. Valori nella parte alta o bassa dell'intervallo interquartile possono essere considerati, ma solo quando si dimostri una non completa omogeneità nel campione.
Concordare con l'amministrazione una politica di prezzi di trasferimento ex ante, mediante il ricorso alla procedura di ruling internazionale, oggi possibili anche su base bilaterale, potrebbe offrire il vantaggio di evitare verifiche e sanzioni. Inoltre, come chiarito anche dalla circolare 25/E/2014, nei confronti di chi accede alla procedura, sarà possibile avviare verifiche solo con riferimento a questioni diverse da quelle oggetto del ruling, al fine di evitare che il medesimo modello di business sia oggetto di un una diversa interpretazione. Così, un ruling avente a oggetto i prezzi di trasferimento dovrebbe inibire ulteriori controlli, come quelli in tema di stabile organizzazione occulta o di altri aspetti relativi al medesimo business model.

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    Autore

    avv. Gennaro di Maggio
    Patrocinante  presso le Magistrature Superiori 
    Docente di diritto finanziario

    Facoltà di Giurisprudenza Università Federico II di Napoli
    Responsabile dello sportello di consulenza e assistenza tributaria del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli.
    Componente del comitato regionale sulla mediazione tributaria istituito presso la D.R.E. Campania 

    Attenzione: 
    In questa sezione lo studio di Maggio & associati  propone contenuti a solo scopo informativo e che in nessun caso possono costituire parere legale. E' vietata la riproduzione e la divulgazione anche parziale senza autorizzazione.

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